BluE HibaKuShA

AttO I

I

Genesi

la nascita di Blue Hibakusha

Qualcosa accadde quando morì, dal cadavere leso, una fluorescenza blu si spanse ad avvolgere il corpo esanime.

Poi, conquistata la nuova forma, il calco etereo, tremante, si librò in aria, in una timida, ma ineluttabile ascesa al cielo.

Quasi acquisisse risolutezza, nell’assunzione la forma guadagnava velocità, e i contorni sbuffanti si fecero meno sfumati.

La figura ora penetrava violentemente i nembi, come un tuono squarciò i cieli, sempre più in alto, sfidando la gravità, fendendo l’atmosfera sempre più rada.

In un urlo sordo, l’ombra veniva sconquassata dai venti solari, immersa nello spazio irrequieto delle radiazioni cosmiche, non vi era più ascesa, un sopra o un sotto, ma solo il movimento del rumore sempre più fitto, sempre più uniforme.

E improvvisamente, quiete. La crudele cortina del caos astrale andava dissipandosi, cedendo il passo a una nuova dimensione, piatta, assoluta. 

Nacque Blue Hibakusha.

II

L’Eden Tradito

il Mare dei Rimpianti e i suoi fantasmi

La quiete appena conquistata, come un temporale estivo, s’infittiva velocemente, e il silenzio diventò chiasso insopportabile, e Blue sentiva di dover aprire gli occhi per far cessare il sordo frastuono.

Le palpebre, lentamente, come sipari si alzarono, presentando uno spettacolo deviato.

Uno specchio d’acqua si estendeva a perdita d’occhio e sopra di esso, sospese, innumerevoli ombre si agitavano stancamente.

Era il Mare dei Rimpianti, e osservando meglio l’apparente calma delle acque prive di moto, Blue si accorse che somigliava più a catrame, e sotto il velo acquoso, sentiva una moltitudine di figure che lo osservavano.

Non poteva vederle, ma sentiva le loro presenze. Permeavano il Mare, ne erano parte, e le ombre danzanti sopra di esso erano legate ad esso, erano i singoli riflessi di quella massa viscosa.

Il Mare era la somma dei cadaveri delle speranze, dei rimpianti e di tutto ciò che sarebbe potuto accadere, macerato e ridotto a quello scuro pelago.

III

Pelago

l’orrenda immersione

La visione riempi Blue d’ angoscia, un effluvio simile a veleno scese dalla gola verso lo sterno pervadendolo tutto mentre rimaneva inerte nella contemplazione di quello spettacolo spettrale.

Sapeva che non avrebbe potuto restare lì, che l’inquietudine lo avrebbe dissolto come i lemuri agitati sotto di lui.

L’unica cosa, l’unica via che poteva percorrere risiedeva nel mare stesso, doveva immergersi in quella oscurità.

Le acque lo lambirono, ma non senti la familiare sensazione di bagnato, il suo corpo, la sua epidermide piuttosto riconobbe una temperatura aliena, né distintamente calda né fredda, che iniziava a pervaderlo mentre continuava ad immergersi.

Era ormai completamente avvolto da quei flutti, quando una strana, subitanea risacca iniziò a trascinarlo in profondità.

Nel buio più assoluto riconobbe quello come un luogo in qualche maniera familiare, un’ intima parte di sé, solo manchevole di qualcosa, un filo luminoso, immacolato che lo aveva mantenuto unito, legato a qualcosa nella tenebra. Ma stavolta no, stavolta era solo.

IV

Resti Nefasti

la pericolosa eredità di Nihil Hawthorn

Nella discesa, una figura troneggiante si palesò ai suoi occhi; era Nihil Hawthorn, o ciò che rimaneva di lui. Ne riconosceva le sembianze, ma il suo corpo era orribilmente deturpato; dall’addome le membra si aprivano oscenamente, lasciando erompere una moltitudine di quelli che a Blue parvero filamenti fluttuanti alla volontà delle correnti sottomarine.

Quella terribile florescenza si moltiplicava innumerevolmente sotto Nihil, e discendeva verso ancor più scuri abissi. Blue provava
pietà per quella figura, ormai esuvia capace solo di partorire risentimento e rimorso, un monumento a perenne memoria di sogni incompiuti.

“Come avrei voluto le cose fossero andate diversamente.” Disse rivolgendosi all’esanime Nihil, incerto che fosse anche capace di sentirlo.     Difatti non ricevette risposta, ma i suoi occhi erano fissi su Blue, pieni di qualcosa che decise d’interpretare come compassione, fede e speranza.

Questo diede lieve conforto a Blue, che con un ultimo sguardo si congedò dal fratello, continuando la discesa, seguendo le fila nell’oscurità.

V

Hoor Al Ayn

i fantasmi delle Tentatrici

Le fila sottili divennero trama e la trama si divise ulteriormente acquisendo forme distinte. Tutt’intorno a lui si palesarono fumose figure ondeggianti che pareva riconoscere. Una fitta nel petto cresceva dentro Blue mentre i nomi di ognuna di loro si denunciava alla sua memoria.

Si accorse allora, che erano le Tentatrici, bellissime, dalla pelle diafana come bianchi acini d’ uva. Le chiamava per nome, ma i fantasmi gli erano indifferenti, continuando il loro errare senza scopo.

Pensava di poter pagare il tributo per i loro cuori con innumerevoli lacrime, comprare il loro amore col dolore, far veder loro quanto avrebbero potuto spezzarlo ed aspettare che tornassero a raccogliere i pezzi. Ma i cuori sono amabili solo verso coloro che vedono, e lui era ancora nascosto, avvolto nella sua oscurità.

Blue restava in contemplazione, non aveva cuore di andarsene, difettava della furbizia, o anche solo della stoltezza di convincersi dell’acredine di quei frutti, ma fu la risacca, inesorabile, a trascinarlo ancora più in basso, lasciando che quei fantasmi continuassero ignari le loro danze scomposte e incantevoli.

VI

Abissi

qui giacciono le promesse

In quelle che sembravano profondità senza fine, Blue si trovò in acque ancora più scure. Dall’oscurità emergevano voci e mani e braccia e bocche e lamenti; erano le promesse, sul fondo, inattese, in attesa, trasparenti. Tutto ciò che era rimasto indietro si trovava lì, e Blue capì di essere nel luogo più fondo di quel mare, dove le correnti lo avevano trascinato. 

Blue era inerme, cosa poteva dinnanzi quello spettacolo terrificante? Si lasciava attraversare da quelle preghiere sospinto dai flutti che da condanna si tramutava in moto salvifico. 

Come pungolato da mille punte metalliche, Blue oltrepassò il tripudio gemente, incapace più di percepire oltre quei lamenti, nel buio assoluto, arreso al termine. 

Si abbandonò, liquido al deliquio, chiudendo gli occhi e aprendo le braccia, la corrente delegato traghettatore del suo corpo, ovunque essa potesse ancora sospingerlo, attraverso vie misteriose. 

Le bocche urlanti andavano quietandosi, mentre la discesa diveniva levitazione, e il buio cedeva lentamente il passo a un nuovo chiarore.

VII

Delta

alla deriva e a terra

Blue riprese coscienza, o così gli parve, perché il rumore sordo e ovattato dei flutti sottomarini finalmente cedeva il passo a quello secco, e aspro della brezza sul pelo di un’acqua che si allungava e ritraeva, gettandosi stancamente su sé stessa e la terra sotto di essa; era a terra.

Blue rimase a farsi cullare dal moto perpetuo delle onde; ora percepiva la gravità in tutta la sua noncurante forza, nessuna corrente lo avrebbe accompagnato ulteriormente nel suo pellegrinaggio. 

Compiendo movimenti tanto familiari quanto alieni, Blue si tirò in piedi, avendo ora modo di capire meglio dove si trovasse; una landa si estendeva elevandosi placidamente in lontananza, nascondendo l’orizzonte più vasto allo sguardo. Il Mare, terribile nel suo emisfero opposto, ora si mostrava flemmatico, insofferente al suo stesso incessante moto. Le anse acquose, come braccia stanche, tentavano inutilmente di colmare i solchi davanti a sé, di quello che pareva un delta ormai arido. 

Il delta si allungava verso l’orizzonte e Blue iniziò a percorrere quelle ferite nella terra agra, trincee scavate dal rimpianto e ora piene solo degli echi dei fantasmi riversatisi da tempo nel Mare, il cui suono si faceva sempre più quieto.